Criterio di cassa condiminiale

Ormai da decenni la giurisprudenza e la dottrina si chiedono se il rendiconto condominiale debba essere redatto secondo il criterio di cassa ovvero secondo il criterio di competenza.

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La risposta al quesito si ricollega alla diatriba sulla analogia del rendiconto condominiale al bilancio societario, che segue il criterio di competenza, ovvero dell’assoluta autonomia dei due istituti.

Chiariamo – innanzitutto – cosa si intenda per “cassa” e “competenza”.

Criterio di cassa: è un rendiconto che si basa sulle entrate e sulle uscite effettivamente sostenute nel periodo a cui si riferisce.

Criterio di competenza: è un rendiconto che viene redatto sulla base dei “costi” e “ricavi” relativi al periodo a cui si riferisce, indipendentemente dal fatto che siano stati effettivamente pagati o incassati.

In ambito societario è un dato pacifico l’impiego del principio della competenza; in ambito condominiale nella versione definita della legge di riforma non è stato imposto uno specifico principio (cassa o competenza), lasciando, di fatto, all’amministratore la scelta dell’applicazione di un principio rispetto all’altro. Per completezza espositiva, va ricordato che i lavori preparatori alla legge di riforma del condominio (nella versione dell’art. 1130 bis c.c. approvata dal Senato in data 26/01/2013) prevedevano espressamente che “il rendiconto condominiale è redatto con criteri di competenza”, mentre nella versione definitiva la legge si limita ad indicare che il rendiconto condominiale debba contenere “le voci di entrata e di uscita”.

Esaminiamo la posizione della giurisprudenza.

La Suprema Corte, con la sentenza n. 10153/11 (presidente Triola) si è espressa per il principio di cassa. Lo stesso Triola (Il condominio – Giuffrè Milano 2007) dà per scontato che il conto consuntivo della gestione condominiale “non deve essere strutturato in base al criterio della competenza bensì a quello di cassa” per cui l’inserimento della spesa va annotato alla data dell’effettivo pagamento (sul punto conforme anche Tribunale di Milano sezione ottava 20/6/1991, n. 5036 App. Milano 20 maggio 1992 – app. Milano 1° ottobre 1993).

In un’altra sentenza n. 10815/00 (presidente Corona) si è precisato …la Corte non deve risolvere la questione di diritto se l’amministratore debba rispondere della gestione sulla base del criterio di competenza o di cassa, ma è pur vero che l’amministratore dura in carico un anno, per cui la gestione viene rapportata alla competenza annuale…”.

Interessante è anche la sentenza della Suprema Corte n. 8877/05, dove si afferma che “…l’amministratore di condominio, nella tenuta della contabilità e nella redazione del bilancio, non è obbligato al rispetto rigoroso delle regole formali vigenti per le imprese, essendo sufficiente che egli si attenga, nella tenuta della contabilità, a principi di ordine e di correttezza e che, nel redigere il bilancio, appronti un documento chiaro e intelligibile, con corretta appostazione delle voci dell’attivo e del passivo, che siano corrispondenti e congrue rispetto alla documentazione relativa alle entrate e alle uscite…”.

In realtà, a parere dello scrivente, l’alternativa, così come posta dalle sentenze sopra esaminate, tra il principio di cassa e il principio di competenza è fuorviante.

Partendo dalla premessa che dopo la riforma dovrebbe parlarsi di “fascicolo di rendicontazione” e non più semplicemente di “rendiconto”, dato che l’articolo 1130 bis c.c. indica più di un documento contabile come componente costitutivo e necessario del “rendiconto”, non vi è alcuna necessità tecnica o giuridica di affermare che tutti i documenti del “rendiconto” debbano essere redatti secondo un unico criterio, di cassa o di competenza; i rendiconti condominiali devono utilizzare sia il criterio di cassa sia il criterio di competenza; occorre far ricorso, quindi, ad un criterio misto.

La motivazione è stata magistralmente illustrata da Francesco Schiena nell’articolo apparso a commento della sentenza 5969 del 9 aprile 2020 del Tribunale di Roma in “Il quotidiano del condominio”.

La suddetta sentenza riporta quanto segue: «il bilancio, o meglio il conto consuntivo della gestione condominiale, non deve essere strutturato in base al principio della competenza, bensì a quello di cassa; l’inserimento della spesa va pertanto annotato in base alla data dell’effettivo pagamento, così come l’inserimento dell’entrata va annotato in base alla data dell’effettiva corresponsione».

Come osservato dall’Autore, è vero, come dice il Tribunale di Roma,  che la spesa e l’incasso devono essere annotati con le rispettive date di uscita di entrata ma, in realtà, la rilevazione e l’annotazione dell’entrata e dell’uscita, quale mera variazione finanziaria di incidenza sulla cassa, avviene certamente secondo il criterio di cassa ma perché riguarda il solo registro di contabilità che rappresenta, soltanto uno dei tanti documenti che compongono il rendiconto condominiale ex articolo 1130-bis Codice civile, che, a tutta ragione, può essere considerato come un vero e proprio fascicolo di rendicontazione.

 Al contrario, prosegue l’Autore, vi sono documenti facenti parte della struttura complessa del rendiconto condominiale, come la situazione patrimoniale, che “esigono” la rilevazione e registrazione di fatti contabilmente rilevanti secondo il criterio della competenza, pena lo svuotamento del documento stesso. Pertanto, è opportuno discorrere di criterio misto di compilazione, sia per la numerosità dei documenti, sia per la loro differente natura e sia per le diverse variazioni – economiche, patrimoniali o finanziarie – che lo stesso fatto originario determina. Così, il costo della bolletta elettrica di ottobre 2019 sarà di competenza di quell’anno e ripartita in quell’anno ma, se pagata effettivamente a gennaio 2020, la sola variazione di cassa andrà a rilevare nel rendiconto 2020.

Non appare corretta, inoltre, nemmeno l’affermazione, riportata nella sentenza in esame, secondo cui “la mancata applicazione del criterio di cassa (Cassazione 10153/11, Cassazione 27639/18) è idonea ad inficiare sotto il profilo della chiarezza, dalla quale non si può prescindere, il bilancio. In particolare, non rendendo intellegibili le voci di entrata e di spesa e le quote spettanti a ciascun condomino, non evidenzia la reale situazione contabile”. In realtà, è vero esattamente il contrario.

Infatti, l’applicazione del criterio di competenza ingloba e non esclude quello di cassa che resta, quest’ultimo, applicato sia al conto entrate/uscite che al registro di contabilità, documenti deputati proprio alla rappresentazione dei flussi in maniera più che chiara e intellegibile. Le quote spettanti ai condomini, invece, sono frutto della ripartizione per competenza che tiene conto, necessariamente, dei costi maturati e relativi all’anno di riferimento ma non ancora necessariamente pagati, applicando, quindi, il criterio della competenza.

Il nuovo articolo 1130-bis del Codice civile, dunque, introduce una vera e propria struttura complessa del rendiconto condominiale che non può che evolversi proprio sotto il cappello generale del criterio della competenza poiché si compone di diversi documenti, ognuno dei quali richiede ora il rispetto del criterio di cassa, ora quello di competenza che comprende e non esclude il precedente.

Tale visione è stata recepita anche dalla giurisprudenza di merito, e precisamente dalla sentenza n.1014 del 19.8.2019 del Tribunale di Udine, che testualmente recita:

“L’art. 1130 bis c.c., introdotto dalla L. 11 dicembre 2012, n. 220 ed in vigore dal 18.6.2013, stabilisce, nella prima parte del comma 1, che <il rendiconto condominiale contiene le voci di entrata e di uscita ed ogni altro dato inerente alla situazione patrimoniale del condominio, ai fondi disponibili ed alle eventuali riserve, che devono essere espressi in modo da consentire l’immediata verifica. Si compone di un registro di contabilità, di un riepilogo finanziario, nonché di una nota sintetica esplicativa della gestione con l’indicazione anche dei rapporti in corso e delle questioni pendenti…>.

A questo Giudice è nota la sentenza del Tribunale di Roma, Sez. V, del 2.10.2017, citata dall’attore e da molti ritenuta una sorta di vademecum per la redazione del rendiconto condominiale, ma quanto dalla medesima espresso non può essere condiviso.

Affermare che il rendiconto condominiale debba essere improntato al principio di cassa significa non aver compreso a pieno la portata della norma di cui all’art. 1130 bis c.c. introdotta dal legislatore con la novella del 2012.

Innanzitutto la norma non parla di bilancio, ma di rendiconto.

Sebbene sia prassi per gli addetti ai lavori utilizzare nella materia condominiale espressioni quali bilancio preventivo e bilancio consuntivo, in realtà sussistono differenze tra il rendiconto dell’amministratore di condominio ed il bilancio delle società, con assai limitati punti di analogia.
Anzi, si ritiene che il rendiconto del condominio, più che con il bilancio delle società, presenta maggiori affinità con altre forme di rendiconto quali il rendiconto del mandatario (art. 1713 c.c.), dell’erede beneficiato e del curatore dell’eredità giacente (art. 531 c.c.), del tutore e delle altre figure affini (art. 385 ss c.c.) ed, entro certi limiti, con il conto della gestione del curatore fallimentare (art. 33 L.F.).

Analogamente a tale figure, anche l’amministratore gestisce somme di denaro, riscuote crediti, paga debiti non suoi, ma del condominio che amministra.
In secondo luogo, non sarebbe corretto parlare di rendiconto condominiale, ma come ha osservato attenta dottrina sarebbe più corretto parlare in materia condominiale di <fascicolo di rendicontazione> in quanto il rendiconto è costituito da tre documenti: il registro di contabilità, il riepilogo finanziario e la nota sintetica esplicativa della gestione, con la conseguenza che non è corretto affermare che il rendiconto condominiale debba essere soggetto al principio di cassa, in quanto deve essere improntato ad un criterio misto, sia di cassa sia di competenza.

Ed, infatti, il registro di contabilità è e deve essere improntato al criterio di cassa in quanto vi sono annotati in ordine cronologico, entro trenta giorni da quello dell’effettuazione, i singoli movimenti in entrata ed in uscita, rappresentando, quindi, il dettaglio analitico di quanto riportato in sintesi nel conto flussi.
La situazione patrimoniale richiesta dall’art. 1130 bis c.c. – e quindi, il rendiconto generale – dev’essere, invece, redatta secondo il criterio di competenza, in quanto tra le attività, dovranno essere indicati, ad esempio, i crediti verso i condomini, i crediti verso i fornitori (da annotare secondo la competenza), le disponibilità liquide, mentre tra le passività dovranno essere indicati i debiti verso i condomini, i debiti verso i terzi, i fondi accantonati, le riserve.

La situazione patrimoniale è, quindi, tale solo se redatta secondo il criterio di competenza, se, invece, fosse redatta secondo il criterio di cassa, non sarebbe altro che una duplicazione del conto entrate/uscite.

Il criterio di competenza non esclude alcuna elaborazione contabile di cassa, anzi, la include necessariamente, infatti, il conto economico di esercizio non può essere redatto secondo il criterio di competenza nell’annoverare i costi di gestione e la rispettiva relatività di esercizio, ma il conto entrate/uscite, invece, annoverando quali di questi costi siano stati poi materialmente pagati, non può che essere redatto secondo il criterio di cassa e senza che vi sia confusione alcuna, posto che si tratta di elaborati contabili separati che non ingannano di certo i condomini.

In sostanza, con la riforma del 2012, il rendiconto condominiale è oggi costituito da un fascicolo i cui documenti sono tenuti e curati secondo criteri diversi, con la conseguenza che il registro di contabilità deve compilarsi secondo il criterio di cassa, mentre lo stato patrimoniale, perché possa raccontare in maniera fedele la realtà delle variazioni finanziarie negative e/o positive di incidenza sui debiti e sui crediti, non può che essere redatto secondo il criterio di competenza.

In esame, non si ritiene siano stati rispettati i suddetti principi, in quanto il rispetto dell’art. 1130 bis c.c. comporta l’immediata verificabilità dei dati espressi in rendiconto; ed appare evidente che laddove, per superare incongruenze oggettive sia necessario esaminare direttamente i documenti di spesa e redigere prospetti di riconciliazione, l’immediata verificabilità, tanto più per il semplice condomino che non é un commercialista, debba ritenersi insussistente (Tribunale di Torino, Sez. III, sentenza n. 2764 del 4.6.2018)”.