Un paio di torri residenziali nel distretto di una città. Visione frontale delle terrazze.

Nel rendiconto di gestione del bilancio, le spese devono essere ripartite secondo le tabelle millesimali esistenti e in base ai criteri previsti dalla legge e dal Regolamento di Condominio.

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I criteri legali di ripartizione sono previsti dall’art.1123 c.c., che testualmente prevede:

Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione.
Se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell’uso che ciascuno può farne. 
Qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell’intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità.” 

Quale sarà il tipo di invalidità che inficia la delibera assembleare di riparto del bilancio delle spese condominiali, quando questa sia adottata in violazione dei criteri legali o convenzionalmente stabiliti? Si dovrà parlare di nullità, come tale rilevabile d’ufficio e deducibile in ogni tempo da chiunque vi abbia interesse, o di mera annullabilità, deducibile nei modi e nei tempi di cui all’art.1137 c.c. comma 2?  

Sul punto, la giurisprudenza tradizionale aveva affermato il principio secondo cui, riguardo alle delibere assembleari aventi ad oggetto la ripartizione delle spese comuni, occorre distinguere quelle con cui vengono stabiliti i criteri di ripartizione ex art. 1123 c.c. o sono modificati i criteri fissati in precedenza, per le quali è necessario, a pena di radicale nullità, il consenso unanime dei condomini, da quelle con cui vengono in concreto ripartite le spese medesime; solo queste ultime, ove adottate in violazione dei criteri già stabiliti, devono considerarsi annullabili e la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza, di 30 giorni, previsto dall’art. 1137, comma 2, c.c. (Cass. civ., sez. II, 9 febbraio 1995, n. 1455; Cass. civ., sez. II, 1 febbraio 1993, n. 1213). 

Un primo intervento delle Sezioni Unite sul criterio distintivo tra delibere nulle ed annullabili si è avuto con la sentenza n. 4806 del 2005, che ha tracciato per prima la contrapposizione tra “vizi di sostanza” – inerenti il contenuto delle deliberazioni – e “vizi di forma” – attinenti invece alle regole procedimentali per la formazione delle delibere. 

Tuttavia, tale criterio distintivo si è rivelato inadeguato specie con riferimento alle delibere assembleari aventi ad oggetto la ripartizione, tra i condomini, delle spese per la gestione delle cose e dei servizi comuni in violazione dei criteri stabiliti dalla legge (artt. 1123 ss. c.c.) o dal regolamento condominiale contrattuale. 

Si è venuto, infatti, a creare un contrasto giurisprudenziale tra due orientamenti

Il primo, fedele a quello precedente alla pronuncia delle Sezioni Unite del 2005, secondo cui sono affette da nullità soltanto le delibere condominiali attraverso le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i criteri di ripartizione delle spese comuni in difformità da quanto previsto dall’art. 1123 c.c. o dal regolamento condominiale contrattuale, essendo necessario per esse il consenso unanime dei condomini, mentre sono meramente annullabili – e, come tali, impugnabili nel termine di cui all’art. 1137, comma 2, c.c. – le delibere con cui l’Assemblea, nell’esercizio delle attribuzioni previste dall’art. 1135, nn. 2) e 3), c.c., determina “in concreto” la ripartizione delle spese medesime in violazione dei criteri dettati dall’art. 1123 c.c. o stabiliti convenzionalmente da tutti i condomini (Cass. civ., sez. II, 21 luglio 2006, n. 16793; Cass. civ., sez. II, 27 luglio 2006, n. 17101; Cass. civ., sez. II, 29 marzo 2007, n. 7708; Cass. civ., sez. II, 19 marzo 2010, n. 6714). 

Il secondo, ha – invece – ritenuto che le delibere dell’Assemblea adottate in violazione dei criteri normativi o regolamentari di ripartizione delle spese sono da considerare nulle per impossibilità dell’oggetto, e non meramente annullabili, seppur limitate alla suddivisione di un determinato affare o di una specifica gestione, trattandosi di invalidità da ricondursi alla “sostanza” dell’atto e non connessa con le regole procedimentali relative alla formazione delle decisioni del collegio, non potendo la maggioranza dei partecipanti incidere sulla misura degli obblighi dei singoli condomini fissata per legge o per contratto (Cass. civ., sez. II, 23 marzo 2016, n. 5814; Cass. civ., sez. II, 4 agosto 2017, n. 19651). 

A dirimere tale contrasto sono intervenute ancora le Sezioni Unite della Cassazione, con sentenza n. 9839/2021, che hanno ribadito i principi già affermati nel 2005, con alcune precisazioni. 

Secondo i giudici l’esigenza di assicurare certezza ai rapporti giuridici facenti capo ad un’entità così complessa come il Condominio, spiega il favor legislativo per la stabilità delle deliberazioni assembleari e la mancata previsione di fattispecie di nullità, un’impostazione confermata e anzi accentuata dalla recente riforma sul tema. 

Il disposto dell’art. 1137 c.c. lascia chiaramente intendere la volontà del legislatore di ricondurre ogni forma d’invalidità delle delibere assembleari alla figura dell’annullabilità, anche se ciò non significa – osservano i giudici – che la categoria della nullità sia totalmente espunta dalla materia. 

Il legislatore ha piuttosto elevato l’annullabilità a regola generale, confinando così la nullità nell’area della residualità e della eccezionalità. 

Sul punto – quindi – le Sezioni Unite affermano che:

“In tema di Condominio negli edifici, sono affette da nullità, deducibile in ogni tempo da chiunque vi abbia interesse, le deliberazioni dell’Assemblea dei condomini che mancano ab origine degli elementi costitutivi essenziali, quelle che hanno un oggetto impossibile in senso materiale o in senso giuridico – dando luogo, in questo secondo caso, ad un difetto assoluto di attribuzioni – e quelle che hanno un contenuto illecito, ossia contrario a norme imperative o all’ordine pubblico o al buon costume; al di fuori di tali ipotesi, le deliberazioni assembleari adottate in violazione di norme di legge o del regolamento condominiale sono semplicemente annullabili e l’azione di annullamento deve essere esercitata nei modi e nel termine di cui all’art. 1137 cod. civ.”. 

Ancora: 

“In tema di delibera dell’Assemblea condominiale, sono nulle le deliberazioni con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni dell’Assemblea previste dall’art. 1135, numeri 2) e 3), cod. civ. e che è sottratta al metodo maggioritario; sono, invece, meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate senza modificare i criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione, ma in violazione degli stessi, trattandosi di deliberazioni assunte nell’esercizio delle dette attribuzioni assembleari, che non sono contrarie a norme imperative, cosicché la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza previsto dall’art. 1137, secondo comma, cod. civ.”.

Riassumendo e concludendo, la Suprema Corte – così confermando quanto già affermato nel precedente dal 2005, ma con un’opportuna chiosa – ritiene che le delibere in materia di ripartizione delle spese condominiali sono nulle per “impossibilità giuridica” dell’oggetto. Ove l’Assemblea, esulando dalle proprie attribuzioni, modifichi i criteri di ripartizione delle spese, stabiliti dalla legge o in via convenzionale da tutti i condomini, da valere – oltre che per il caso oggetto della delibera – anche “per il futuro”, mentre sono semplicemente annullabili nel caso in cui i suddetti criteri vengano soltanto violati o disattesi “nel singolo caso deliberato”. 

Come osservato da Alberto Celeste

Dall’articolo “Insidie tra l’impugnazione della delibera approvativa di una spesa condominiale e l’opposizione a decreto ingiuntivo per la riscossione degli oneri condominiali” di Alberto Celeste, si rileva che le attribuzioni dell’Assemblea in tema di ripartizione delle spese condominiali sono circoscritte, dall’art. 1135, n. 2) e 3), c.c., alla verifica ed all’applicazione in concreto dei criteri stabiliti dalla legge e non comprendono il potere di introdurre modifiche ai criteri legali di riparto delle spese, che l’art.1123 c.c. consente solo mediante apposita convenzione tra tutti i partecipanti al Condominio. 

Ne consegue che l’Assemblea, che deliberi a maggioranza di modificare, in astratto e per il futuro, i criteri previsti dalla legge o quelli convenzionalmente stabiliti (delibere c.d. normative), si troverebbe ad operare in “difetto assoluto di attribuzioni”, mentre, al contrario, non esorbita dalle attribuzioni dell’Assemblea la delibera che si limiti a ripartire in concreto le spese condominiali, anche se la ripartizione venga effettuata in violazione dei criteri stabiliti dalla legge o convenzionalmente, in quanto una siffatta delibera non ha carattere normativo e non incide sui criteri generali, valevoli per il futuro, dettati dagli artt. 1123 ss.c.c. o stabiliti convenzionalmente, né è contraria a norme imperative, sicché tale delibera deve ritenersi semplicemente annullabile e, come tale, deve essere impugnata, a pena di decadenza, nel termine di 30 giorni previsto dall’art. 1137, comma 2, c.c.